I principi del successo di Ray Dalio
Ray Dalio è considerato lo Steve Jobs della finanza. Come il fondatore della Apple, anche Dalio è partito da un bugigattolo e, nel corso degli ultimi 40 anni, ha creato e fatto prosperare Bridgewater Associates, il più grande fondo speculativo al mondo. Al di là delle spettacolari fortune dello Hedge Found americano e dei numerosi e ricchissimi clienti, Bridgewater Associates è celebre per essere stata una delle poche realtà a prevedere la crisi finanziaria dalla quale, a quasi dieci anni di distanza, pare ci stiamo riprendendo soltanto ora (in Germania, dove vivo, è un’altra storia: la Repubblica Federale Tedesca percorre da quasi sette anni una traettoria di sviluppo ascendente, sebbene c’è chi afferma che gli anni delle vacche magre siano alle porte).
Ora che Dalio si appresta ad abbandonare la plancia di comando della sua creatura, e nella migliore tradizione del capitalismo americano, lungi dal ritirarsi su di un’isoletta a bere champagne ha deciso di aumentare il proprio già intenso impegno filantropico e di trasmettere al mondo i princìpi di vita e lavoro che lo hanno reso una figura eccezionale della finanza mondiale.
Principles: Life and Work (Principi: Vita e Lavoro) è il lapidario titolo del tomo pubblicato da qualche settimana negli Stati Uniti ma acquistabile anche in Italia in formato cartaceo o elettronico Kindle, e subito diventato numero uno tra i bestseller del New York Times (www.principles.com).
Per il lettore capace della lingua inglese e che si voglia immergere nel mondo di questo multimiliardario statunitense dedito alla meditazione trascendentale, appare presto chiaro come dietro a una prosa piana e comunicativa vi sia una mente straordinariamente organizzata e disciplinata, al punto da aver voluto e saputo fondare il proprio successo e quello della propria società sulla base di una fitta rete di principi di vita, ideati sostanzialmente da solo, applicati sin da giovane, rifiniti negli anni e permeanti ogni attività sua e dei circa 1500 dipendenti della Bridgewater.
Ray Dalio ha capito infatti che ogni testa ragiona a modo suo e, nel momento in cui si sceglie di lavorare in grande in un business rischioso come quello dei fondi speculativi, occorre ridurre al minimo la possibilità di male interpretare la comunicazione interna con i propri pari e con i dipendenti e, al contempo, è necessario sapersi rapportare con i clienti in maniera il più possibile cristallina. Sembra una considerazione tutto sommato banale, ma è uno dei pilastri sui quali in maniera rigorosa e conseguente Dalio ha fondato tutto il suo agire.
Immergendosi nelle quasi seicento pagine del suo dettagliato testamento spirituale quello che appare più sbalorditivo è che i pilastri teorici alla base del suo vasto e concretissimo successo appaiono come l’opera di un dilettante nel senso più nobile del termine. Dalio infatti ha costruito il proprio sistema di vita basandosi in gran parte sulla personale intuizione ed esperienza, come conferma anche la sparuta bibliografia di testi citati in fondo ai Principi, tra i quali vi sono il Dalai Lama e alcuni autori anglosassoni, mentre dei filosofi e dei teologi che nei secoli passati di questi temi un poco si sono occupati, non vi è nemmeno l’ombra.
Impossibile qui analizzare in dettaglio i principi di Ray Dalio, ma tra questi vi sono alcuni punti cardine che sovente ritornano per venire declinati più volte in varie forme.
Il primo, e forse il più importante, è quello di avere verso il mondo un atteggiamento di “apertura radicale”, ovvero, come avrebbe detto Socrate, di ricordarsi sempre di “sapere di non sapere”. Per Dalio è fondamentale rapportarsi con gli altri avendo sempre e comunque una predisposizione all’ascolto, almeno quando si ricevono critiche da persone che si rivolgono a noi senza essere in malafede. Parlare addosso alla gente, ribattere un nanosecondo dopo che il nostro interlocutore si è permesso di criticarci può essere pratica acquisita in un talk show della televisione italiana o alla Casa Bianca al tempo di Donald Trump, ma è un atteggiamento bandito alla Bridgewater. Tutti, compreso il grande capo, non solo devono essere pronti a venire criticati — naturalmente con i dovuti modi e nelle dovute forme -, ma addirittura devono essere capaci di accettare che dei propri punti deboli (e forti) si discuta in pubblico. Secondo il pragmatico Dalio infatti la personalità di ogni individuo è riassumibile in una serie di caratteristiche opposte ricorrenti tra le persone: intuitivi/analitici, introversi/estroversi e via categorizzando. Ben sapendo che si tratta comunque di una semplificazione, e armandosi di una fitta serie di test della personalità, Dalio ha creato sin dagli anni Ottanta un archivio pubblico per ogni individuo assunto nella sua azienda, nel quale — con il consenso dell’interessato — vengono riassunti i punti salienti della sua psiche.
All’inizio i primi e pochi dipendenti lo prendevano per matto, rifiutandosi di mettere in piazza il proprio carattere o, meglio, una versione schematizzata delle proprie caratteristiche personali. Ma, con tenacia e convinzione, Dalio è riuscito a introdurre in Bridegwater quella mentalità di “apertura radicale” per cui oggi è dato per scontato che ogni neo-assunto venga “scannerizzaoi” psicologicamente e i risultati siano archiviati presso un pubblico schedario. Per Dalio infatti questa categorizzazione, lungi dal creare divisioni tra “buoni” e “cattivi” o, peggio ancora, tra “gente a posto” e “psicolabili”, semplicemente permette a tutti di trovare il proprio spazio nel gruppo e rende i colleghi in grado di capire come rapportarsi uno con l’altro, enfatizzando i punti di forza e minimizzando quelli deboli, a tutto vantaggio della società (la sua, sebbene appaia chiaro che un tale metodo per Ray Dalio andrebbe adottato anche altrove). Al fine di gestire questa mole di informazioni, Dalio non si è limitato a scrivere il risultato delle sue ricerche psicologico-comportamentali su un foglio, bensì si è presto fornito di sistemi informatici, in grado di elaborare una grande massa di dati, siano essi i risultati dei testi comportamentali dei dipendenti, siano essi i dati economici degli ultimi secoli. E invero una sezione considerevole dei principi daliani è quella che attribuisce all’estensivo impiego dell’informatica un ruolo fondamentale nell’aiutare a prendere decisioni rischiose. Non per sostituire il proprio intuito di investitore con un cervellone elettronico, bensì per aumentare le proprie potenzialità cognitive a tutto vantaggio di una analisi quanto più rigorosa e approfondita della mille variabili in grado di influenzare la realtà economica mondiale, terreno obbligato di stuzdio per ogni gestore di fondi speculativi.
Partendo da presupposti così particolari, non stupisce che se si voglia trovare una “divinità” alla quale Dalio si rivolge, questa è il concetto di evoluzione. Ma non intesa come lotta darwinistica per il predominio del più forte, quanto piuttosto come forza che pervade da sempre il creato e verso la quale vi è solo un atteggiamento razionale da adottare: accettarla o perire.
Ray Dalio è infatti convinto che solo quelle aziende che sappiano rivolgersi con atteggiamento di estremo realismo verso i mutamenti del mercato, sono in grado di comprenderli e, se non dominarli, quantomeno usarli a proprio vantaggio.
Nel raccontare i cardini del suo agire di uomo e di analista, Ray Dalio non rifugge da visioni di futurismo cibernetico nelle quali l’intelligenza artificiale della tecnica informatica si fondono sempre più con l’essere umano, per creare un team capace di accogliere, ogni giorno e in ogni contesto, le sfide che la vita ci pone davanti.
Meditazione, informatica e psicologia spiccia: tutto questo e molto altro si trovano nel pensiero di Dalio, che appare al lettore a tratti geniale, a tratti scontato, spesso radicale, ma sempre di grande onestà intellettuale. Difficile dire se questo testo rimarrà una pietra miliare per tutti gli appassionati di filosofia e storia del pensiero umano, ma di certo pare essere destinato a diventare un classico del managment, una lettura poderosa e impressionante di un intelletto che, stando ai risultati della sua azienda, ha dimostrato di saper coniugare perfettamente scaltrezza, intuizione e ossessività. In un mix che lo ha portato dall’essere uno spiantato al divenire uno degli uomini più ricchi del pianeta.