Trieste, aria di libertà
Pubblicato originalmente sul numero di settembre 2024 della rivista ADESSO
Una delle prime sorprese di Trieste sono i citofoni. Ci trovi dentro un mondo intero. Nomi slavi, italiani, tedeschi, inglesi, ungheresi. La complessa storia di questa città, che nel corso del Novecento ha cambiato nazionalità per ben cinque volte, la trovi all’improvviso sui suoi citofoni. Trieste, anzi, la vicina Muggia, è stata fino alla caduta del Muro l’ultimo avamposto italiano prima della Cortina di Ferro. Ma a parte il fatto che il confine era più permeabile di quanto si credesse, questo lembo di terra giuliana in fondo al Friuli anche senza la drammaticità del proprio passato affascina chiunque la visiti per la prima volta.
Sarà quell’aria affabile che trovo in molti dei suoi abitanti, sarà la suggestione di passeggiare per palazzi in cui vivono o hanno vissuto scrittori eccelsi, sarà forse per quella riservata e cordiale atmosfera da Mitteleuropa che si avverte nei suoi leggendari caffè, ma a Trieste si respira un’inconfondibile aria di libertà.
Non a caso le mule, come qui vengono chiamate — e senza alcuno scherno — le abitanti di Trieste, da sempre sono famose per essere donne indipendenti, insieme colte e vitali. Al fascino delle donne triestine di recente è stata dedicata una raffinata mostra di pittori locali: “L’eterno femmineo” presso Palazzo Sartorio.
Non distante dal Sartorio un’altra istituzione triestina, dedicata all’arte moderna e contemporanea: il Museo Revoltella. Salire le avvolgenti scale di questo museo ha senso per chiunque passi in città anche solo per bersi un caffè espresso, o come diavolo si chiama esattamente da queste parti la semplice bevanda che ai triestini piace complicare ordinandola in mille astruse variazioni.
Trieste certo è ben lontana dall’essere quel borgo da cartolina letteraria come spesso viene dipinta, ma chi è sensibile al fascino del cosmopolitismo qui davvero trova tutto, in barba a chi nega la vitalità di Trieste, considerandola solo una città di commercianti.
Certo, il senso degli affari non manca ai triestini, al punto che uno dei suoi figli più celebri, Italo Svevo, non si capisce bene se fosse un letterato che per guadagnarsi da vivere doveva fare l’industriale, o uno scaltro commerciante che aveva il vizio del fumo e della letteratura.
Svevo, che per vivere dovette sempre lavorare, badò poco a queste distinzioni, e avvolto nel buio dell’insuccesso mai smise di scrivere, anche se affermava il contrario. Alla fine, con La Coscienza di Zeno, uscito nel 1923, regalò al mondo un romanzo sensazionale e moderno.
E proprio la letteratura fu l’occasione che mi portò la prima volta a Trieste, più di vent’anni fa, per incontrare Claudio Magris. Avevo appena letto Microcosmi e, naturalmente, l’incontro avvenne al Caffè San Marco, presso il tavolo a lui sempre riservato. Lo ascoltai parlare dei mille autori che conosceva e aveva studiato mentre da un vassoio cenava con del prosciutto. Avevo fame, ma non glielo dissi. Solo quest’anno, durante le riprese del mio ultimo documentario, dedicato all’autore de La Coscienza di Zeno, mi sono accorto che sulla porta del Caffè San Marco campeggia la data della sua apertura: 1914. Come a dire, convivialità e traumi storici a Trieste sono un binomio molto concreto.
Insieme al San Marco per par condicio non si può non nominare il Caffè Tommaseo e il Caffè degli Specchi, la santa trinità del gusto triestino, che nel corso degli anni ha dato ospitalità a innumerevoli scrittori e scrittrici intenti a vergare pensieri su taccuini, poi trasformatisi in libri, spesso assai degni di essere letti. Ma si farebbe un torto all’anima popolare di Trieste se ci fermassimo a elencare i salotti buoni della città, o i vari ristoranti di pesce, tra cui a mio avviso campeggia Menarosti. Una visita da Siora Rosa o alla Trattoria Mara renderà felice anche chi apprezza i cibi più semplici che, qui a Trieste, spesso vengono dalla terra più che dal mare.
E questa è un’altra caratteristica della città giuliana che subito stupisce. Pur essendo un tempo lo sbocco sul mare dell’Impero Austroungarico, e pur avendo con Piazza Unità una splendida piazza patrizia con il più vasto affaccio sul molo di una città europea, a Trieste il mare sembra meno presente che nelle altre città costiere.
Intendiamoci. Raccontando questa città è vietato dimenticarsi di citare il Pedocin, l’ultimo bagno con ingresso separato tra uomini e donne, antica tradizione diventata curiosità e sostenuta con convinzione dalla popolazione. O mancare di menzionare la Barcolana, appuntamento veliero autunnale festeggiato con partecipazione dalla città intera. E tuttavia ammetto che io, di carattere e provenienza alpina, con una concezione greca del mare (ricordiamoci: è dal mare che eruppero i mostri del Laocoonte), ho sempre amato Trieste anche perché quel pesante odore di salsedine a me qui non è mai capitato di avvertirlo. La presenza marina rimane sempre discreta e mai strabordante. Detto questo, nemmeno io che sfuggo il mare trovo brillante l’idea di chissà quale passata amministrazione comunale di aver cementificato il molo, adattandolo principalmente a parcheggio pubblico, e sogno il giorno in cui un urbanista illuminato trasformerà questa ricchezza di Trieste in un luogo di verde e vitalità.
Perché a dire il vero alcuni panorami di Trieste tanto belli non lo sono. Prendiamo l’ospedale di Cattinara, un fulgido esempio di costruzione moderno-brutalista: esistono aneddoti che se non fossero veri bisognerebbe inventarli.
Nel 1986, durante il disastro atomico di Chernobyl. Ingannati da un truffatore che fece credere loro di avere immagini inedite del reattore, le statunitensi Abc e Nbc, insieme alla RAI, si precipitarono a trasmettere panorami di quello che credevano fosse Chernobyl e invece era l’ospedale triestino, eretto giusto due anni prima.
In fondo Trieste e i triestini sono così. O, meglio, vari triestini che ho avuto la fortuna di conoscere. Un misto di profondità e leggerezza, consci della complessità della vita ma pronti ad affrontarla per il verso giusto, preferendo i brindisi dell’ottimismo al digiuno del pessimismo. Trieste è composta da varie anime, da varie culture. Trieste è provinciale, ed è cosmopolita. Trieste è alla periferia d’Italia, ma anche al centro dell’Europa se, come me, si ama immergersi nei Balcani. Trieste sicuramente non può piacere a tutti, ma io qui chissà perché mi sono sempre sentito, se non a casa, benvenuto.
Forse perché questa città immersa di cultura, dal passato complesso, dal presente incerto, a me pare sia sempre lì per ricordarti che non importa quanto la vita è sofferenza e dolore, un motivo per festeggiare con un buon amico lo trovi sempre.
Alessandro Melazzini (alessandro@melazzini.com)